Lo studioso salesiano Marcel Verhulst pubblicò recentemente un libro dedicato a don Francesco Scaloni nella collana “Studi” dell’Istituto Storico Salesiano...
Questa mattina è venuto a mancare don José Manuel Prellezo, docente emerito dell’Università Pontificia Salesiana, Direttore emerito dell’Istituto Storico Salesiano,...
Torino, Italia – maggio 2023 – Continuano le presentazioni del volume Don Alberto Maria De Agostini, l’ultimo esploratore della fine del mondo (1883-1960), a cura di Francesco Motto (LAS 2023). Dopo quelle nazionali di novembre a Padova e di marzo a Roma, e quelle estere in Patagonia (Rio Grande) in aprile e a Buenos Aires il 6 maggio, il 22 maggio è stata la volta della prestigiosa sede della “Salone del Libro” di Torino; esattamente nello stand riservato alla FUIS (Federazione Unitaria Italiani Scrittori). Presentati dallo stesso Presidente della Federazione Natale Rossi, hanno preso la parola il prof. Nicola Bottiglieri dell’Università di Cassino, scrittore e docente di letteratura sudamericana, la dott.ssa Daniela Berta, direttrice del Museo della Montagna di Torino ed il prof. Silvano Oni, docente di storia all’Università salesiana, sezione Torino. Ogni relatore, dal proprio particolare punto di vista, ha sottolineato alcuni aspetti particolari della poliedrica figura di don Alberto De Agostini, che fece conoscere in Italia nella prima metà del secolo XX la natura antartica attraverso libri, foto e film sulla flora, sulla fauna e sugli indios fuegini. A sud del sud, quasi fuori dalla carta geografica, ancora nei primi decenni del secolo XX, esisteva un mondo che pochi conoscevano e che pochi o nessuno aveva mai calpestato. Don De Agostini, o Don Patagonia, come è stato soprannominato, lo ha fatto conoscere con parole, immagini, suoni. La figura del salesiano, molto noto in Argentina e Cile, lo è meno nella sua patria, l’Italia ed il volume presentato ha lo scopo di rilanciarne la memoria, anche nella prospettiva del 150° anniversario della prima spedizione missionaria salesiana in America latina (1875-2025).
Lo studioso salesiano Marcel Verhulst pubblicò recentemente un libro dedicato a don Francesco Scaloni nella collana “Studi” dell’Istituto Storico Salesiano di Roma, edito dalla casa editrice LAS (Libreria Ateneo Salesiano).
Il volume, frutto di ricerche archivistiche molto ampie, è ottimamente aggiornato dal punto di vista storiografico e conta 545 pagine. Il protagonista, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, ha realmente influito sulla storia dell’allora giovane Congregazione salesiana, al tempo dei Rettori maggiori don Rua, don Albera e don Rinaldi, quando i salesiani stavano impiantandosi in vari Paesi dell’Europa (Francia, Belgio, Olanda, Svizzera, Inghilterra e Irlanda), nell’Africa del Sud e nel Congo.
Nella prima parte lo studioso descrive come il carisma di don Bosco sia arrivato in Belgio su domanda insistente del vescovo di Liegi, mons. Doutreloux. Questi ottenne l’accordo esplicito di don Bosco solo nel dicembre 1887. Fu una delle sue ultime fondazioni. Don Rua fece tutto il necessario per realizzare la promessa formale di aprire un primo istituto salesiano a Liegi, la città in cui incominciò il grande sviluppo industriale del Belgio e che era sede della diocesi.
Nella seconda parte, l’autore racconta come nel 1891, don Rua incaricò improvvisamente don Scaloni, giovane prete trentenne, chiedendogli di cominciare a gestire una piccola comunità come prima opera nascente. Ma dapprima il Verhulst parla della vita di Scaloni, precedente alla missione in Liegi. Il quattordicenne Francesco Scaloni incontrò don Bosco per la prima volta nel 1875. Nel 1876 fece l’apprendistato a Valdocco, poi seguì dei corsi per l’apprendimento del Latino. Nel 1882 emise la professione salesiana e don Bosco lo mandò subito in Francia dove studiò e lavorò per otto anni, prima a Nizza, poi a Marsiglia, dove nel 1887 fu ordinato sacerdote. Successivamente fu inviato a Parigi dove, pur avendo varie occupazioni con i giovani, completava i suoi studi della teologia al celebre “Instititut Catholique”.
La fondazione della prima casa salesiana a Liegi, sempre in stretta collaborazione con il vescovo Mons. Doutreloux, fu seguita da altre nello stesso Paese. Dopo essere stato direttore della prima casa, divenne, nel 1902, anche il primo ispettore delle case del Belgio; a queste furono annesse in seguito alcune di altri Paesi.
Fece un grande sforzo per attirare vocazioni autoctone e per formarle in due case di formazione: à Hechtel (noviziato e studentato filosofico, nel 1896), poi Groot-Bijgaarden (casa di teologia, nel 1904).
Lanciò il suo progetto missionario per il Congo (all’epoca coloniale si chiamava Congo Belga, oggi Repubblica Democratica del Congo), dove furono aperte tre case. Nel 1909 fu nominato Superiore dell’Ispettoria inglese, cercando di consolidare e di stendere l’azione salesiana in altre regioni dell’Inghilterra e della vicina Irlanda. In quel tempo incominciò il progetto di rinforzare la presenza salesiana nell’Africa del Sud. Morì improvvisamente, compiendo la visita canonica straordinaria nel Congo, nel 1926, a causa di una malattia tropicale. La sua scomparsa fu avvertita come una grande perdita, non solo in tutti i Paesi in cui lavorò, ma anche in altre parti del mondo.
Infine, nella terza parte, l’autore espone le idee di Scaloni, che furono assai originali, sia nel campo pedagogico, sia in quello sociale. Egli pubblicò molti scritti su questi argomenti. È da rilevare il suo impegno per “inculturare” il carisma di don Bosco nei posti in cui operavano i Salesiani, tenendo conto delle nuove correnti scientifiche e culturali. Come superiore coltivò una “saggezza pratica” nell’animare, nel governare e nell’amministrare le due ispettorie, anche se non sempre la sua azione incontrò successo; tuttavia cercò di affrontare positivamente varie delusioni e contrarietà. Il suo stile di vivere da salesiano può essere d’ispirazione per oggi.
The Institute of Salesian History (ISS), Rome, organized the presentation of the book by Fr. Thomas Anchukandam sdb, titled, «Theological Formation of Salesians in India with Special Reference to Kristu Jyoti College, Bangalore (1967-1976)» (LAS, 2022) in the Sala Juan Vecchi, UPS, Rome, at 3 p.m. on 21 April 2023. The event, transmitted live on the YouTube channel of the Pontifical Salesian University (UPS), was witnessed by 140 spectators world-wide and 30 others in presence.
The moderator of the event, Prof. Hendry Selvaraj Dominic, introduced Prof. Andrea Bozzolo, Rettor Magnifico, UPS, extended a warm welcome to everyone present and gave a general introduction to the book to be presented. It was followed by the presentation of the well-thought-out themes for the day that were developed by the four resource persons chosen for their association with Kristu Jyoti College (KJC) and for their academic competence.
Prof. Shaji Joseph Puykunnel, sdb, Director of the Institute of Spiritual Theology, enlightened the audience on the topic «Socio-political and religious context of North-East India at the time of the arrival of the first Salesian missionaries». The resource person, who was a professor at Sacred Heart Theological College, Shillong from1998 to 2013 and also a visiting professor to KJC, since 2004, noted that the first group of missionaries arrived in Tanjore, a town in the present-day Tamil Nadu, India under the leadership of Fr. George Tomatis SDB in 1906 on behalf of Padroado. And, on 13 January 1922, on behalf of the Propaganda Fide, the second group of Salesian missionaries arrived in Shillong, Northeast India, the sub-Himalayan region marked by ethnic, cultural, linguistic and religious diversity and political instability.
Fr. Shaji argued basing himself on the statistical report of the Salesian mission in the region that the missionaries transformed the various challenges of the difficult mission into opportunities for the growth of the Church. He attributed the success of Salesians in the mission to the strategy of their religious leader, Mgr. Louis Mathias SDB, to have the formation of personnel in loco. The opening of «Our Lady’s House» in 1923, as a centre of formation for novices, students of Philosophy and of Theology, said the resource person, to be the historical roots of KJC whose birth and growth is the content of the book.
The second presentation, «Salesian Congregation in the immediate post World War II, The Vatican and the Post-Vatican periods» was brilliantly summarised by Prof. Michal Vojtáš sdb, the author of the book, «Reviving Don Bosco’s Oratory and Salesian Pedagogy after Don Bosco: From the first generation up to the Synod on Young People (1888–2018) ». According to him, in the Salesian congregation, the 1950s were generally characterised by the attempts at stabilizing the teaching and organisational structures of formation by Fr. Peter Ricaldone, Rector Major, which was eventually to go well beyond his term of office. The growth of personnel and activities of the youth apostolate was visible. The center of gravity of the Congregation was still in Europe and in America, but the major index of growth manifested itself in Asia. Prof. Vojtáš noted that, Fr Renato Ziggiotti’s term of office as Rector Major was characterised by his travels and the growing worldwide sense of the Salesian charism, and the 19th General Chapter of the Salesian congregation introduced six new sectors into the traditional Salesian apostolate viz., parish, adult catechesis, family apostolate, formation of lay teachers, ministry to workers, and social communication.
However, Prof. Vojtáš, highlighted that the crisis in the Salesian Congregation during the post Vatican period was felt above all through the rapid decline in vocations, the abandonment of Salesian life that occurred throughout the 1960s, both during the period of formation and with the increased demands for the laicisation of priests. The number of Salesians from 1968-77 decreased by about a quarter. This demographic crisis, signalled by the Rector Major, was only the most conspicuous effect of a religious order that was in a process of strong change. The resource person concluded his presentation situating the birth of KJC to this crucial transition of the Salesian congregation.
The third resource person to speak was Prof. Ivo Coelho sdb, the General Councillor for Formation of the Salesian Congregation, and he dwelt on the theme, «the Salesian Formation in Mission». He paid special attention to section 2 of chapter 4 of the book, «Social Involvement and Contribution to Nation-Building», as it interested him due to his own personal association with KJC as a student of theology (1984-1988). The resource person recalled the narration from the 4th chapter of the book with the subtitles: the Social Service Guild, the Freedom at midnight and the influences of Liberation theology as well as the Special General Chapter to drive home the point that the Theology in KJC did not remain confined to the pages of the books or within the walls of the classrooms, but that it flowed into the life and that life flowed back into theology. He quoted a student of KJC who wrote to the Archbishop of Bangalore in 1972 to substantiate his assertion: “While we are doing our Theological studies, we could not remain indifferent to the crying needs of so many poor people around our college. So, we launched a programme of social work, with the contributions we got from far and near and have been able to do something” (p. 158). The general Councillor for the Formation hopes and wishes that the good example given by KJC of an incarnated theological reflection might continue to be an inspiration for the Salesian formation settings and study centres.
The last presentation done by Prof. Jose Kuttianimattathil, member of the Formation Department of the Salesians of Don Bosco, Rome on «preferential love for and commitment to the poor at the very heart of the Salesian formation» recalled the hope and wish of Prof. Ivo saying, «We have to be formed with the poor; because the God we serve is a God of the poor; because the enriching magisterium of the poor gives us insights into God, because the poor are the gateway to heaven, because in touching the poor we touch Christ, and because in being with the poor we enflesh our spirituality». The resource person opined that the methodology of the Salesian formation is a liberative dialogical discernment and spiral methodology, having basically four steps:
1) Immersion in the situation of the poor and the oppressed.
2) Letting oneself be evangelized/instructed by the poor and the oppressed.
3) Interpreting and understanding the situation (experience) on the basis of what Scripture, Church teachings, other religious traditions, social sciences and the poor tell the world about the causes of and remedies for the situation encountered, that is, developing a theology.
4) Taking effective steps together with the poor of all religions and that in the spirit of the currently much touted spirit of synodality, to liberate those who continue to live in oppressive situations to live in that Kingdom proclaimed by Jesus at His programmatic Nazareth Manifesto.
Thus, all the four well-thought-out themes for the day developed by the carefully chosen persons of competence hinted that the proud heritage of KJC, whose history Prof. Thomas Anchukandam has so painstakingly, professionally and brilliantly recorded in his book is its commitment to the poor.
Prof. Hendry while commenting on the talks and the book in question, augured that the event which offered many a historical perspective could be a point of reference in critically carrying forward the theological formation of the Salesians in India, by the three Salesian theologates in the country viz., Kristu Jyoti College, The Sacred Heart Theological College, Shillong – both aggregated to Pontifical Salesian University and Don Bosco Theological Centre, Kavarapettai, Chennai that is affiliated to the same university, to respond to the need of strengthening the local theologies and forming theologians who can contribute to the believing community worldwide!
Prof. Thomas Anchukandam, in his concluding talk, indicated the reasons for his having authored the book which could briefly be summarized as his desire to record for posterity «the particularly significant aspects of the holistic theological formation imparted by KJC with its emphasis on offering the students the possibility of reaching out to the poor in the surrounding villages and of engaging in youth apostolate in the various parishes in the Archdiocese of Bangalore». He also expressed his gratitude to all those who had facilitated his research and in preparing for the presentation of the book and made a special reference to his colleagues in the ISS and the academic authorities of the University. The presentation concluded with a simple refreshment and an informal exchange of views.
(ANS – Roma) – Con esito estremamente positivo ha avuto luogo il 26 gennaio scorso, presso l’Università Pontificia Salesiana (UPS) di Roma, la presentazione del volume “Volti di uno stesso carisma. Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice nel XX secolo”, curato da don Francesco Motto, SDB, e suor Grazia Loparco, FMA, ed edito dall’editrice LAS (Roma 2021).
Nel corso dell’evento, promosso dall’Associazione Cultori di Storia Salesiana (ACSSA) in collaborazione con le Facoltà di Scienze dell’Educazione e della Comunicazione Sociale della suddetta università, hanno preso la parola vari studiosi.
Nel proprio saluto il prof. don Antonio Dellagiulia, SDB, Decano della Facoltà di Scienze dell’Educazione (FSE) dell’UPS, ha sottolineato la valenza spirituale dei singoli profili e l’inserimento nella tradizione salesiana; così pure ha individuato nei singoli personaggi presentati quel percorso di chiara identità personale, grande intimità e generatività sociale, di cui parla un classico autore di psicologia dello sviluppo, Erik Erikson.
Il prof. don Motto, Presidente dell’ACSSA, ha poi illustrato le complesse fasi di lavoro internazionale preparatorio al volume, gli obiettivi che si intendevano e che si sono raggiunti e la metodologia storiografica innovativa che si è applicata. Quindi ha mostrato i volti dei 48 protagonisti del volume.
Il prof. Giorgio Rossi, docente emerito dell’Università di Roma-tre, utilizzando la prospettiva storiografica suggerita da Maurice Nédoncelle circa il rapporto di reciprocità fra lo studioso e il personaggio oggetto di studio, ha ricordato le figure di don Antonio Cojazzi, don Rufillo Uguccioni e don Carlo Torello, da lui personalmente incontrati.
Il prof. padre Giuseppe Crea, CMMJ, docente di psicologia all’UPS, in un magistrale intervento ha evidenziato aspetti che accomunano i vari personaggi SDB e FMA del volume: la capacità di innestarsi sul comune carisma salesiano, di integrare le diversità, di rimanere stabili pure nel cambiamento. Essi hanno “imparato ad imparare”, a farsi modellare dagli eventi e dalle situazioni: radicati nel tempo, sono stati pronti ad accogliere gli appelli del contesto, in vista di qualcosa o di qualcuno. Il loro carisma educativo è diventato metodo di vita proponibile a tutti. Per dirla con Papa Francesco, alla fine sono stati capaci di “uscire d’un balzo da se stessi”.
Infine, la dottoressa e affermata giornalista, Rita Pinci, coordinatrice di “Donne Chiesa Mondo”, rivista mensile dell’Osservatore Romano, ha dato un’interessante lettura del “femminile” del volume. Ha parlato di un volume coraggioso, ottimista, di un’umanità femminile sparsa a piene mani, di donne costrette ad allenare intraprendenza, fantasia, immaginazione, che hanno dimostrato incredibili capacità di resilienza. Altro che sesso debole.
MOLTE LE NOVITÀ DEL NUOVO VOLUME DELL’EPISTOLARIO DI DON BOSCO
Da giorni è ormai in libreria edito dall’Editrice LAS dell’Università Pontificia Salesiana di Roma il nono volume dell’Epistolario di don Bosco, curato come i precedenti, da don Francesco Motto, già direttore dell’Istituto Storico Salesiano (ISS) e attuale presidente dell’ACSSA (Associazione Cultori di Storia Salesiana). Un volume di 605 pagine, di formato superiore allo standard, contenente 469 lettere, scritte e talora solo firmate, da don Bosco nel triennio 1884-1886 (lett. 3956-4424). Un complesso di testi che si può dire riscrivano in qualche modo la storia di don Bosco sul finire della vita.
In effetti il 40% delle lettere è inedito, per cui vengono alla luce molti corrispondenti ignoti alla storia salesiana: italiani, francesi, spagnoli, portoghesi, belgi, polacchi, inglesi, tedeschi, austriaci, ungheresi, cileni, argentini, uruguaiani, brasiliani… Pagina dopo pagina si apre davanti al lettore un caleidoscopio di personaggi della società civile e di quella ecclesiastica in stretto contatto con don Bosco per i più diversi motivi. Ne ha fatta di strada il ragazzo di campagna di Castelnuovo, lo studentello-lavoratore e povero seminarista di Chieri, il semplice prete-studente del Convitto di Torino che attirava a sé i ragazzi semiabbandonati della città con i quali poteva comunicare solo in dialetto! Il nome “don Bosco” negli anni ottanta del secolo XIX risuonava in Italia e all’estero, ivi comprese le gelide terre magellaniche e qualche torrida città dell’India: in corti imperiali e in regge, in castelli e in ville patrizie, in palazzi episcopali e in ministeri, in redazioni dei giornali e in consigli comunali, ma anche in semplici canoniche, in umili case di contadini, in conventi di religiosi e religiose, in seminari e per le strade, sulla bocca di giovani di varie parti d’Europa e d’America Latina.
I lettori poi si accorgeranno subito che molte lettere (circa un terzo) sono scritte in francese, una lingua che don Bosco conosceva a mala pena e che scriveva un po’ a modo suo. Il fatto non è irrilevante e la lettura della corrispondenza ne offre la spiegazione. I vari viaggi di don Bosco sulla costa azzurra, fino a Marsiglia, nei primi anni ottanta, il trionfale viaggio a Parigi nel 1883, l’edizione di “biografie” in lingua francese, la stampa cattolica lo avevano fatto conoscere oltralpe come il San Vincenzo de Paoli del XIX secolo, il possente taumaturgo dell’Ausiliatrice, perfino l’uomo in grado di risolvere la questione sociale. E dunque andava aiutato, finanziato da quanti avevano a cuore il problema dei ragazzi a rischio. È soprattutto una cerchia di benefattori francesi, alcuni generosissimi, che in questi anni sostiene economicamente l’opera salesiana, mentre la stessa Francia paradossalmente sta conducendo una dura lotta contro la Chiesa, le sue istituzioni, soprattutto le opere dei religiosi.
Inoltre nel triennio considerato ci troviamo di fronte ad un don Bosco settantenne (dell’epoca!), seriamente ammalato, sia pure con pause di relativo benessere, ma di giorno in giorno sempre più “ombra di se stesso”. In moltissime lettere è costretto a giustificare per motivi di salute il ritardo nella risposta, la loro brevità, la pessima grafia, la necessità di servirsi di un segretario anche solo per concludere la lettera. Eppure, con prevedibile fatica fisica e psichica, non cessa di scrivere personalmente a particolari autorità civili e religiose, ad alcuni confratelli, a determinati benefattori, a illustri personaggi mai conosciuti di persona. Tutto ciò ha un suo significato.
Infine come tutti gli altri otto volumi precedenti, anche questo nono volume di lettere consente di distinguere fra quelle autografe di don Bosco, quelle di cui ha steso la minuta (poi ricopiata dal segretario e da lui sottoscritte), le lettere redatte da altri e da lui semplicemente firmate, le circolari a stampa preparate dai collaboratori ma portanti sempre la sua firma. In evidenza sono don Rua e due redattori del “Bollettino Salesiano”, don Bonetti e don Lemoyne, quest’ultimo in particolare diventato in quegli anni segretario di concetto di don Bosco e segretario del Capitolo superiore. A lui si devono commoventi lettere a singoli salesiani, alcune circolari, la circolare di nomina di don Rua a Vicario di don Bosco con pieni poteri (1885) e soprattutto le due lettere da Roma del 1884, tanto commentate nel loro contenuto, quanto non prive di problemi di ecdotica e di critica testuale.
Se l’infanzia di don Bosco, la sua giovinezza, le primissime esperienze di Valdocco sono conosciutissime, grazie all’affascinante narrazione aneddotica delle Memorie dell’Oratorio e alle fantasiose fiction televisive, attente all’audience più che al dato storico, per don Bosco adulto e per don Bosco anziano, instancabile nel lavorare per i giovani “fino all’ultimo respiro” (lett. 4192), la fonte principale ed ineludibile sono le sue lettere: una sorta di autobiografia quotidiana, scritta a sua insaputa, esente dai limiti intrinseci al genere letterario delle Memorie e storicamente molto più attendibile di altre fonti continuamente citate.
Ora non rimane che attendere l’ultimo volume dell’epistolario, il decimo, che raccoglierà le lettere dell’anno 1887, del gennaio 1888 e quelle rinvenute dopo la pubblicazione dei singoli volumi. Quello finale offrirà anche gli indici complessivi dell’intero corpus epistolare del santo di Valdocco, ricco di poco meno di 5.000 lettere.
Dopo aver sentito il parere del Gruppo stabile dell’ISS e avuto il consenso del Rettor Maggiore, don Angel Fernández Artime (art. 20 del Regolamento), il Vicario del Rettor Maggiore, don Francesco Cereda, ha decretato, il 1 ° maggio 2018, la nomina del signore Iván Ariel FRESIA SDB come Membro Associato dell’Istituto Storico Salesiano. Egli dovrà ora concordare il campo specifico delle ricerche con la direzione dell’ISS (art. 18,b). È stabilito che Egli rimane nella sua Ispettoria.
I saggi di Braido qui proposti rappresentano un’occasione propizia per riportare l’attenzione sull’importanza di un sempre più rigoroso prosieguo degli studi sull’oratorio. I contributi offerti dall’autore delineano una panoramica assai interessante circa l’esperienza dei Salesiani, la cui opera oratoriana è ricostruita attraverso lo spoglio di fonti a stampa, come il “Bollettino Salesiano” e altre pubblicazioni, e di un corposo materiale archivistico, che spazia dalle deliberazioni dei Capitoli generali della congregazione agli atti del suo Capitolo superiore, dagli interventi dei rettori maggiori e dei loro più stretti collaboratori ai voti espressi da quei convegni di pastorale giovanile che, celebrati all’interno o all’esterno della comunità dei figli di don Bosco, ebbero un’incidenza sui loro oratori.
L’intento di Braido è quello di far emergere “l’immagine” di oratorio che i vertici della congregazione vollero definire e diffondere tra i loro confratelli, analizzando la sua evoluzione all’interno delle vicende della stessa congregazione e del cattolicesimo dell’Italia contemporanea. Tale evoluzione si presta ad essere interpretata anche nel quadro della più generale storia dell’universo giovanile novecentesco, sul quale i seguaci di don Bosco ebbero una larga influenza. Per questo, il saggio che introduce il volume integra la ricostruzione presentata da Braido non solo con i risultati di altre ricerche storico-educative, ma anche con il portato di alcuni dei più rilevanti studi inerenti alla storia sociale dei giovani.
Sulla base di quanto documentato da Braido, non è possibile valutare se la “rivoluzione oratoriana” di fine secolo, e cioè l’assunzione dello stile educativo dell’oratorio come paradigma fondamentale di ogni istituzione della congregazione, abbia concorso o meno ad un potenziamento della sua opera strettamente oratoriana. È certo, però, che proprio la riflessione intorno all’oratorio, capace di rimanere sostanzialmente fedele all’eredità donboschiana e, allo stesso tempo, di adattarsi al mutare dei tempi, abbia contribuito in maniera non secondaria a mantenere viva, fino ai giorni nostri, l’attenzione dei Salesiani nei confronti del mondo giovanile. (Paolo Alfieri)
Il sacerdote salesiano Giulio Barberis entra nella cerchia dei discepoli e collaboratori di don Bosco, riconosciuti come figure chiave per la genesi e lo sviluppo della Opera salesiana negli aspetti organizzativi, istituzionali, formativi e carismatici. Tra gli scritti inediti o pubblicati in formato litografico, meritano particolare attenzione, in prospettiva pedagogica, i suoi Appunti di pedagogia. L’edizione critica dei medesimi costituisce lo scopo del presente volume, che si apre con un’ampia Introduzione del curatore. Sottolineando le caratteristiche del lavoro, Barberis precisa che non si è proposto di scrivere “un trattato completo di pedagogia”, ma ha voluto offrire ai giovani educatori un aiuto “nel difficile compito di educare bene”. Dopo l’esposizione delle Nozioni generali, il corpo centrale degli Appunti di pedagogia di Barberis è diviso in cinque parti: Educazione fisica, Educazione intellettuale, Educazione estetica, Della pedagogia morale e religiosa (con una sezione intitolata: Del sistema preventivo). Lo scritto offre la testimonianza autorevole di un affezionato discepolo e attivo collaboratore di don Bosco. La fedeltà incondizionata e la profonda ammirazione per il metodo educativo del “padre, amico e maestro” non impedirono, anzi spinsero lo scrittore salesiano ad allargare la gamma dei suoi interessi verso gli scritti di pedagogisti ed educatori italiani e stranieri, antichi e moderni.
La Postfazione del volume invita i lettori, siano essi pedagogisti o educatori, a contribuire alla riflessione e a studiare in che modo uno scritto della fine dell’Ottocento, possa essere riletto e valorizzato anche oggi. In modo particolare vengono evidenziati alcuni elementi importanti in vista di un’eventuale articolazione comprensiva di quella che potrebbe essere chiamata “pedagogia salesiana”. A parte alcune criticità riscontrate, gli Appunti di pedagogia possono costituire uno dei “ponti” tra le idee e la pratica educativa di don Bosco e una eventuale elaborazione attuale ulteriormente sviluppata. Alcuni principi, individuati nel testo di Barberis, da una parte, e le metodologie e l’epistemologia pedagogica odierna, dall’altra, possono offrire uno strumentario idoneo per realizzare con fecondità e profitto l’invito suggerito.
(Dall’Introduzione di J. M. Prellezo, già docente ordinario di storia della pedagogia e dell’educazione nell’Università Pontificia Salesiana – dalla Postfazione di D. Grządziel, professore straordinario di pedagogia e di didattica presso la stessa Università).
Littoria, dal punto di vista storico, rappresenta un osservatorio interessante per molti motivi. È il centro di uno dei territori in cui il regime fascista sperimenta la sua progettualità da un punto di vista geografico, demografico ed urbanistico. Vi si avvia la trasformazione profonda di un territorio, con la bonifica dell’Agro pontino, con il trasferimento di popolazioni da altre zone d’Italia per la sua colonizzazione, con la creazione di una serie di nuovi agglomerati urbani.
Dobbiamo alla serietà della ricerca di Clemente Ciammaruconi un nuovo interessante ed approfondito contributo sulla presenza salesiana in questa realtà. Egli, nella sua già vasta produzione che riguarda prevalentemente l’ambito della storia sociale e religiosa, aveva già indagato il ruolo dei Salesiani che interagiscono con la trasformazione del territorio da parte del regime cercando di assicurare l’assistenza religiosa nella zona della bonifica a partire dal 1933. Il suo primo libro sul tema (Un clero per la «città nuova». I Salesiani da Littoria a Latina. I. 1932-1942. Roma 2005) ha rappresentato un contributo considerevole e ricco di spunti di interesse.
Questo nuovo volume ripercorre ora le fasi successive della presenza dei Salesiani che furono chiamati a garantire l’assistenza pastorale a Littoria da Pio XI proprio quando la regione pontina stava trasformandosi attraverso la bonifica integrale e la “città nuova” era appena un progetto in via d’iniziale realizzazione. Dapprima ci fu una parziale resistenza ad accettare la “missione”, ma nell’ottobre del 1933 i Salesiani accolsero l’invito del papa e si stabilirono nella cittadina in costruzione. Non era una situazione facile. Il territorio dipendeva dalla diocesi di Velletri e il clero diocesano non contava membri disposti a stabilirsi nell’Agro. La cura pastorale dei fedeli dispersi nei poderi gradualmente sottratti alla palude era affidata al parroco di Cisterna, ma le necessità erano superiori alle sue forze. La popolazione cresceva rapidamente per l’arrivo dei coloni, sparsi in una zona molto vasta.
All’inizio, la comunità salesiana che si stabilì nel territorio ammontava a cinque membri, i quali subito si affaccendarono per organizzare la cura pastorale a Littoria e in cinque borghi della zona che distavano dal principale centro abitato dai sette ai dieci chilometri.
La gran parte dei coloni proveniva dal Veneto e desiderava che ogni borgo avesse una presenza permanente del sacerdote. Il cardinale vescovo della diocesi suburbicaria di Velletri era all’epoca Enrico Gasparri, nipote di Pietro Gasparri il segretario di Stato che aveva firmato i Patti Lateranensi con il regime. Fu anche per rispondere a tali esigenze pastorali che il cardinale Enrico Gasparri scelse come vescovo residente un Salesiano, mons. Salvatore Rotolo, il quale in pochi anni riorganizzò la presenza del clero, assicurando la nascita, oltre che della parrocchia di S. Marco a Littoria, anche l’istituzione di altre cinque parrocchie nei borghi dei dintorni. In breve, i religiosi salesiani finirono per aumentare a sette sacerdoti e due fratelli consacrati.
Le fonti che Ciammaruconi esplora con diligenza ci mostrano una comunità religiosa sensibile alla propaganda del regime. Si tratta di una vicenda nota per ampie fasce della Chiesa italiana e che, all’epoca, solo pochi osservatori ecclesiastci guardavano con diffidenza. Tra questi, un ufficiale della Segreteria di Stato che scriveva a proposito dell’atteggiamento di clero ed episcopato nei confronti della guerra condotta in Etiopia dal governo fascista:
“E il clero? Questo è il disastro più grande. Il clero deve essere calmo, disciplinato, obbediente ai richiami della Patria; è chiaro. Ma invece questa volta è tumultuoso, esaltato, guerrafondaio. Almeno si salvassero i Vescovi. Niente affatto. Più verbosi, più eccitati, più… squilibrati di tutti. Offrono oro, argento puri: anelli, catene, croci, orologi, sterline. E parlano di civiltà, di religione, di missione dell’Italia in Africa […]. Difficilmente poteva compiersi nelle file del clero un confusionismo, uno sbandamento, un disquilibrio più gravi e più pericolosi”.
Si trattava di Domenico Tardini, che poi sarebbe divenuto stretto collaboratore di Pio XII e segretario di Stato di Giovanni XXIII.
Tuttavia, quando il regime sceglie di affiancare la Germania nazista in guerra, la distanza crescente si registra sia nelle cronache della casa salesiana sia nelle direttive dei vertici della famiglia religiosa. E man mano che il conflitto procede e le sue sorti cambiano, vengono annotati i segnali di una divaricazione sempre più profonda. Nel giugno 1943, in una chiesa di S. Marco affollatissima per la festa del Corpus Domini, “molto commentata e biasimata fu l’assenza completa delle autorità politiche e amministrative” della città. La mancata partecipazione di tutte le maggiori cariche istituzionali – che pure erano state invitate – dimostra come oramai i rapporti tra regime e mondo cattolico fossero logorati.
Dopo 1’8 settembre, sotto la minaccia dei rastrellamenti tedeschi, sono i Salesiani a raggiungere le case coloniche per avvertire i capifamiglia ed i ragazzi in età da lavoro di non farsi vedere a Littoria. E subito dopo lo sbarco di Anzio, ancora loro indicano la speranza del popolo per un rapido arrivo delle truppe alleate che liberi la città.
L’esperienza della guerra della comunità salesiana è quella registrata in molte altre realtà. I religiosi restano col popolo sotto i bombardamenti e sfollano con gli ultimi quando Littoria viene abbandonata. Trovano ricovero a Roma, ma sono anche tra i primi a tornare nel capoluogo pontino non appena l’Urbe viene liberata e possono muoversi verso Sud. Roma è libera il 4 giugno del 1944, don Carlo Torello ed i suoi tornano già il 6 giugno a Littoria – di lì a poco rinominata Latina — e trovano solo distruzione. La fase della ricostruzione è ancora lontana; prima c’è da sfamare la gente che ritorna in città e che non ha nulla. È l’esperienza della mensa, che distribuisce fino a 1.200 minestre al giorno. Ma è anche la stagione dell’epurazione che i Salesiani vogliono rendere meno dolorosa possibile: già la guerra è stata una punizione sufficiente, secondo don Torello. Egli entra nel Comitato di liberazione, chiamato ad istruire i dossier sugli epurandi e ad emettere un giudizio sulla loro condotta. Opera con saggezza conducendo anche gli altri membri a posizioni di clemenza e ragionevolezza.
Ciammaruconi ricostruisce con cura anche le prime vicende politiche del dopoguerra. A Latina, l’iniziale nucleo democristiano nasce senza collegamenti con gli organi centrali del partito. Ne fanno parte alcuni cattolici impiegati nelle istituzioni pubbliche, esponenti delle professioni, membri dell’associazionismo cattolico. Ad essi il parroco e la comunità salesiana forniscono un tetto, una guida, consigli e sostegno aperto. Ma le prime consultazioni elettorali non sono positive. Nelle amministrative della primavera del 1946 si affermano i repubblicani come primo partito, avendo utilizzato come candidati alcuni tecnici della rete di bonifica capaci di catalizzare il consenso dei coloni; la DC è solo il secondo partito col 32%. Lo stesso avviene il 2 giugno, con ampia affermazione per la Repubblica e nuovo successo elettorale del PRI.
La DC inizia a risalire la china con la nomina a segretario provinciale di Vittorio Cervone, già allievo salesiano a Gaeta. Spetta a lui riorganizzare la DC che nel 1948, quando la battaglia è campale, porta il partito al 5 1% in città e al 54% nella provincia. Cervone, inoltre, si adopererà perché Maria Goretti — la giovane beatificata nel 1947 e canonizzata nel 1950 — divenga patrona di Latina, la qual cosa Pio XII concederà ne11952.
E proprio Maria Goretti, assieme a Domenico Savio, rappresenta il modello che la comunità salesiana propone ai giovani: la “martire delle Paludi pontine” viene presentata come simbolo della purezza. In fondo, anche se appare una forzatura affermare che l’allora segretario della Federazione giovanile comunista italiana, Enrico Berlinguer, l’avesse indicata come modello alle giovani comuniste, egli nel 1951 aveva paragonato la partigiana Irma Bandiera — torturata a morte dai nazisti per non aver tradito i suoi compagni — proprio alla santa che si era fatta uccidere per difendere la verginità, citando entrambe come esempi di virtù delle ragazze italiane. Della ricezione integrata di quell’accostamento è una testimonianza, tra l’altro, una recente intervista a Luciana Castellina[1].
In Domenico Savio, il giovane studente salesiano morto adolescente, si indicavano invece come esemplari la gioia, l’impegno nei doveri di studio e di preghiera, la scelta di fare del bene.
I primi anni Cinquanta vedono anche a Latina l’affermazione di un modello di educazione giovanile che molti di coloro che sono cresciuti nel secondo dopoguerra ricordano: la vita dell’oratorio, la preghiera, la proposta dello scoutismo, il cinema parrocchiale, l’educazione ad una comunione di intenti.
Tra l’altro, in quel periodo Latina diviene anche approdo per parte della popolazione che dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia fu costretta ad abbandonare la propria terra. Il capoluogo pontino venne infatti individuato come una delle località nelle quali istituire in breve tempo centri di accoglienza capaci di ricevere centinaia di persone costrette all’esodo. Un campo, istituito a partire dal marzo 1947, accolse più di mille profughi giuliano-dalmati che, dopo essere stati a lungo alloggiati nell’ex caserma dell’82° Reggimento di Fanteria, dal 1956 ricevettero finalmente una migliore sistemazione in un quartiere apposito a loro destinato, il cosiddetto “Villaggio Trieste”. E la data non è irrilevante, perché da allora il campo fu destinato ad accogliere i profughi che arrivavano dall’Ungheria fuggendo dalla repressione dell’Armata Rossa. L’azione della comunità salesiana in quegli anni si arricchì quindi di un inedito campo d’azione ed assistenza spirituale, su un terreno che oggi è tornato di drammatica attualità.
La storia della Chiesa è anche vicenda di comunità concrete, legate ad un territorio, e quella nell’Agro pontino, che Ciammaruconi ha analizzato con capacità di indagine e fedeltà alle fonti, è caratterizzata anche dall’intreccio appassionante della sorte della famiglia salesiana con una porzione di società italiana in profonda trasformazione. L’autore ha ripercorso in questo volume quell’intreccio in maniera documentata, profonda e, soprattutto, appassionata. Per questo le sue pagine meritano la nostra grata attenzione.
[1] Si veda l’intervista alla giornalista e parlamentare comunista in Emiliano Sbaraglia, Ideario Berlinguer. Passioni e parole di un leader scomodo. Con un’intervista a Luciana Castellina. Roma 2014.
POSTFAZIONE
di Francesco Motto
I Salesiani, tanto nella Società civile che ecclesiale, da 150 anni si qualificano particolarmente come educatori di giovani. Nell’ambito educativo, infatti, si collocano la maggior parte delle presenze salesiane in Italia e nel mondo.
La prima e forse più originale di tale opere è l’oratorio, vale a dire quell’ambiente aperto a tutti i minori, che favorisce l’incontro fra loro e con gli educatori, a tempo pieno o parziale. Inizialmente era uno spazio in cui, accanto a momenti ricreativi, si insegnava il catechismo ai giovani “poveri ed abbandonati” senza parrocchia: un’opportunità pedagogica unica nel suo genere, nella quale si riflettevano le situazioni e i problemi del momento. Successivamente si trattò di andare alla ricerca e di sostenere i giovani nel loro stesso ambiente di vita, nonché di offrir loro spazi sicuri, di apertura, di protezione e di formazione integrale. Esso era caratterizzato tanto dall’accentuazione della vita pastorale festiva, della ricreazione e del tempo libero attraverso il gioco, la musica e il canto, il teatro, quanto dal rapporto spontaneo ed informale fra educatori ed educandi. In seguito, lungo i decenni, la grande plasticità dell’oratorio salesiano ha portato a una notevole versatilità e a una differenziazione delle sue modalità organizzative, fino a prendere la forma di un progetto educativo-pastorale vero e proprio.
Una seconda area di impegno dei Salesiani, dopo quella giovanile, comprende opere che possono considerarsi più immediatamente di carattere pastorale: vale a dire le parrocchie, i santuari, le chiese pubbliche e semipubbliche. La precedenza è ovviamente data alle “parrocchie popolari”, solitamente nelle periferie delle città, che hanno offerto opportunità religiose per famiglie operaie ricche di figli; ovvero alle “parrocchie giovanili” con apprendisti non residenti, studenti, militari, emigranti di altre regioni, ossia giovani sradicati da ogni struttura familiare, civile e religiosa che in qualche modo avrebbero potuto mettere a rischio la loro fede.
Ebbene l’opera dei Salesiani a Littoria-Latina, parrocchia e oratorio, sorta mezzo secolo dopo la morte di don Bosco, si è posta come splendida realizzazione di tale binomio in tempi di certo non facili, come quelli del fascismo, della seconda guerra mondiale, della ripresa postbellica. Il loro modello educativo-pastorale si è sviluppato trovando un proprio significativo ruolo all’interno di un regime che tendeva a restringere gli spazi di libertà, o di fronte all’assenza di uno Stato sociale che provvedesse ai più bisognosi, in attiva collaborazione se non in onesta concorrenza con altre forze intente a ricostruite un tessuto sociale sfilacciatosi lungo gli anni. Uno sforzo, quello salesiano, volto a creare una società migliore attraverso l’educazione “integrale” della gioventù e l’assistenza religiosa alle popolazioni, in stretto rapporto — amichevole, o talvolta anche conflittuale — con autorità civili ed ecclesiali.
Le iniziative salesiane di concreta risposta ai bisogni della comunità di Latina, sia in funzione di supplenza che di collaborazione con lo Stato e con la Chiesa, hanno altresì innescato in entrambe le istituzioni una dinamica favorevole ad una maggiore attenzione ai giovani, alla loro educazione e formazione, alla loro socializzazione e promozione, ossia al loro futuro e, di conseguenza, al futuro della società italiana.
Come sottolineava Francesco Traniello 25 anni fa nella postfazione ad un volume sulla casa salesiana di Forlì in occasione del suo cinquantesimo (1942-1992), non è facile percorrere con rigore storico la vicenda di un’opera salesiana perché implica misurarsi in primo luogo con la storia, per così dire, ” integrale”, a tutto tondo, della comunità e del territorio nel quale i Salesiani si sono via via inseriti e su cui, in forza della loro singolare dote di plasmabilità, hanno comunque lasciato la propria impronta. Se un simile giudizio vale un po’ per tutte le case, vale forse più ancora per l’opera salesiana di Latina, che è sorta ed è cresciuta, ha gioito e sofferto, in simbiosi con la città, alla quale ha offerto il meglio che salesianamente aveva a disposizione, pur in mezzo ad immancabili debolezze, ripiegamenti e ritardi.
La storia raccontata in due volumi da Clemente Ciammaruconi con singolare capacità di “far parlare” le fonti scritte ed orali, ricercate con certosina pazienza, ne è la prova provata. Ulteriori approfondimenti potranno comunque trovar spazio, specialmente riguardo alla vita interna della comunità salesiana, alla sua spiritualità e pedagogia in contesto, ai singoli salesiani, perché si tratta sempre di una storia corale, anche se alcune figure giocano ruoli particolarmente importanti; lo stesso si dica della comunità ecclesiale e civile. Tutti, però, dovranno in qualche modo confrontarsi con questi suoi due testi che da oggi sono a disposizione dei lettori e che arricchiscono la collana Studi dell’Istituto Storico salesiano. Storiograficamente, poi, un omaggio forse più bello non si poteva fare in occasione del cinquantesimo della morte del principale protagonista degli avvenimenti in essi rievocati, don Carlo Torello (1886-1967).